Iniziativa allevamento intensivo: No alla dittatura alimentare della sinistra

Oramai non lo nascondono più, i promotori dell’iniziativa sull’allevamento intensivo utilizzano la protezione degli animali negli allevamenti – che in Svizzera sono particolarmente tutelati da una legge molto severa – per raggiungere il vero scopo che oramai non sono più in grado di sottacere, ovvero quello di imporre ai cittadini svizzeri un’alimentazione senza carne e derivati animali. In occasione dei recenti dibattiti hanno ribadito la necessità di ridurre il numero di capi allevati in Svizzera affinché le emissioni siano ridotte. Non essendo un argomento solido, la protezione degli animali passa di conseguenza in secondo piano, permettendoci così di concentrarci sulla vera posta in gioco: la smania della sinistra di imporre una sorta di dittatura alimentare, che prescrive ai cittadini cosa mangiare. Dopo i tentativi di obbligarci all’utilizzo del trasporto pubblico, anche a chi è oggettivamente impossibilitato di farlo, al cercare di imporre “comportamenti virtuosi” in ambito energetico a suon di tasse e balzelli, questa volta ci riprova con l’alimentazione. Una vera e propria visione antiliberale e statalista, che fa a pugni con le proposte di legalizzare il consumo delle droghe, di cui la sinistra ne è la paladina.

È oramai chiaro che se l’iniziativa venisse accolta, oltre a non raggiungere i subdoli obiettivi di riduzione delle emissioni provocate dall’allevamento, causerà una serie di conseguenze disastrose al nostro paese. In primis, il settore agricolo verrebbe messo ancor più sotto pressione, molti allevatori potrebbero gettare la spugna, oppure ridurre drasticamente il numero di capi allevati. L’effetto conseguente sarebbe quello di aumentare considerevolmente le importazioni per rispondere alla domanda – che non varierebbe certamente a seguito dell’approvazione dell’iniziativa – invadendo gli scaffali dei negozi con carne prodotta dall’altro capo del mondo, dove l’applicazione dei medesimi standard qualitativi imposti agli agricoltori svizzeri non potrebbe essere né controllata, tantomeno garantita. Un’altra conseguenza sarà l’aumento dei prezzi al consumatore, che si stima possa raggiungere il 40% e questo senza necessariamente avere una migliore qualità, in un momento dove l’inflazione galoppa. Oltretutto, diminuendo la produzione locale e aumentando le importazioni, aumenteremmo le emissioni causate dal trasporto degli alimenti che acquisteremo in Brasile, Argentina o in altri paesi remoti. Non da ultimo, condanneremmo il settore agricolo svizzero a un declino irreversibile, mettendo sempre più in discussione anche il suo fondamentale ruolo per il paese, ovvero quello di produrre alimenti di qualità per sfamare i cittadini. Le difficoltà di approvvigionamento vissute con il Covid ci hanno dimostrato quanto sia importante non essere eccessivamente dipendenti dall’estero, sembrerebbe però non aver insegnato nulla al fronte rossoverde, che preferisce vivere di utopie, piuttosto che di sano pragmatismo.